07 Settembre, 1999 |
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In collaborazione con il CoDiCi di Verona
L'indirizzo valido ai fini della visita fiscale è quello che
risulta all'Inps, anche se diverso da quello in possesso al datore
di lavoro.
La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione ha dato ragione ad una
lavoratrice che durante il decorso della malattia si trovava a un indirizzo
diverso da quello abituale, risultante al datore di lavoro, ma aveva provveduto
a comunicare il nuovo indirizzo all'INPS.
La visita fiscale era stata effettuata all'indirizzo abituale, sulla base delle indicazioni del datore di lavoro, ed il medico fiscale non aveva trovato nessuno a casa; per tale motivo, il Pretore di Reggio Emilia, accogliendo le istanze dell'Istituto, le aveva negato l'indennità di malattia. Il Tribunale, invece, riformando la sentenza di primo grado, aveva accolto le ragioni della lavoratrice, ritenendo che le eventuali variazioni di domicilio durante la malattia devono essere indicate solo nella certificazione dell'Inps (al quale la donna aveva fornito le informazioni richieste), mentre non c'è obbligo di comunicare il diverso indirizzo anche al datore di lavoro, poiché questi può richiedere il controllo delle assenza per infermità "soltanto attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti".
La Suprema Corte condivide le argomentazioni del Tribunale e respinge il ricorso dell'Inps, ritenendo che la visita fiscale non potesse considerarsi effettuata in quanto avvenuta a un indirizzo diverso da quello indicato dal lavoratore; infatti, il lavoratore non ha l'obbligo di comunicare il proprio effettivo recapito anche al datore di lavoro, ma è piuttosto l'Istituto di previdenza che, nel caso in questione, non si è curato di disporre una nuova visita all'indirizzo indicato nella certificazione medica in suo possesso, considerando sufficiente l'esito negativo della prima verifica, anche se compiuta ad un indirizzo che risultava errato. Pertanto, sulla base del principio secondo il quale l'obbligo di comunicare il diverso recapito durante il periodo di malattia sussiste solo nei riguardi dell'Inps (e non anche del datore di lavoro), la lavoratrice ricorrente ha diritto alla corresponsione dell'indennità di malattia. (7 giugno 1999)
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE - SEZIONE LAVORO
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
INPS, Istituto Nazionale della Previdenza Sociale; contro T. A. R.,
( )
avverso la sentenza del Tribunale di Reggio Emilia n. 611 in data 11
luglio 1995, dep. 13-7-95 RG 1388/92; (
)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 611 in data 11 luglio 1995 il Tribunale di Reggio Emilia,
in riforma della sentenza del Pretore di quella città del 28 agosto
1994, accoglieva la domanda di T. A. R., intesa ad ottenere la condanna
dell'INPS a corrisponderle l'indennità di malattia, denegata sul
presupposto del mancato reperimento al domicilio comunicato dal datore
di lavoro ma differente rispetto a quello effettivo ancorché risultante
dalla certificazione medica trasmessa dalla lavoratrice. Il Collegio
di merito richiamava la giurisprudenza di questa Corte nel senso che l'obbligo
di comunicare il recapito durante il periodo di malattia, diverso dall'abituale
residenza o dimora, sussiste solo nei riguardi dell'INPS, non anche del
datore di lavoro. Ha proposto ricorso per cassazione l'INPS con un
unico motivo variamente articolato.
T. A. R. resiste con controricorso e deposita memoria a sostegno.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Va preliminarmente dichiarato inammissibile il controricorso, notificato
il 30 agosto 1996 e tempestivamente depositato in cancelleria ai-sensi
dell'art. 369 cpc.
Ed invero il ricorso principale è stato notificato il 23 novembre
1995 e pertanto il termine di gg. 20, decorrente ai sensi dell'art. 370
cpc dalla scadenza di quello stabilito ugualmente in gg. 20 per il deposito
in cancelleria del ricorso principale, era longe et ultra decorso alla
data di notifica del controricorso.
Con l'unico mezzo l'INPS denuncia la violazione dell'art. 5 D.L. 12
settembre 1983 n. 463 [1], in riferimento ai numeri 3 e 5 dell'art. 360
cpc.
Il motivo non è fondato.
Ed invero per il controllo dello stato di salute del lavoratore l'art.
5 della legge 20 maggio 1970 così testualmente dispone: "Sono vietati
accertamenti da parte del datore di lavoro sulla idoneità e sulla
infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente. Il
controllo delle assenze per infermità può essere effettuato
soltanto attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti
i quali sono tenuti a compierlo quando il datore di lavoro lo richieda."
Il controllo delle assenze per infermità è dunque compito
degli istituti previdenziali e il datore di lavoro ha solo la facoltà
di sollecitarlo. Per lo svolgimento del controllo sulle assenze per
infermità del lavoratore la legge prevede una serie di formalità
e tra l'altro impone al lavoratore l'obbligo di farsi trovare in casa durante
determinate fasce orarie.
La T. A. R., durante il periodo di assenza dal lavoro, si è
trasferita in altro domicilio e, nella certificazione medica regolarmente
inviata all'istituto previdenziale, ha indicato nell'apposito spazio l'indirizzo
di effettiva reperibilità nel corso della malattia, mentre il medico
incaricato della visita di controllo si è recato, nelle more di
inoltro della certificazione a cura della parte, al recapito comunicato
dal datore di lavoro. Giustamente pertanto il Tribunale ha ritenuto che
la visita di controllo non potesse ritenersi effettuata in quanto avvenuta
in un indirizzo diverso da quello indicato dal lavoratore. E non
ha rilievo di sorta la circostanza che la lavoratrice abbia comunicato
il proprio indirizzo durante la malattia solo all'Istituto Previdenziale
e non al datore di lavoro, atteso che questi può richiedere il controllo
delle assenze per infermità "soltanto attraverso i servizi ispettivi
degli istituti previdenziali competenti"; di conseguenza, secondo la normativa
in vigore, le eventuali variazioni di domicilio durante la malattia debbono
essere indicate solo nella certificazione all'INPS.
Nello stesso senso si è pronunciata questa Corte con la sentenza
n. 8612/1993 in data il 23 giugno 1992.
Questa Corte non ravvisa ragioni di sorta di sorte per modificare un
orientamento del tutto coerente al testo normativo, in ordine al quale
l'Istituto ricorrente non svolge critiche di sorta, limitandosi a non tenerne
conto.
E' solo il caso di porre in evidenza, a fronte dell'argomentazione
svolta dall'istituto nel senso che il lavoratore avrebbe l'onere di comunicare
il proprio effettivo recapito anche al datore di lavoro al fine di prestare
una doverosa collaborazione all'Ente previdenziale incaricato del controllo,
che tale collaborazione va resa anzitutto dall'Istituto che invece, al
ricevimento della certificazione medica, non si è curato di disporre
una nuova visita all'indirizzo ivi indicato, considerando sufficiente l'esito
negativo della prima verifica, pur se compiuta ad un indirizzo che risultava
errato.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. Va disposta
la distrazione, come da richiesta, in favore dell'avv. Franco Agostini
dichiaratosi antistatario.
P.Q.M.
La Corte
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alle spese in favore del
resistente, liquidate in lire 15.000 oltre agli onorari in lire 1.500.000,
con distrazione in favore dell'avvocato Agostini, antistatario.
Roma 28 gennaio 1999
Depositata in Cancelleria 26 maggio 1999
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