07 Settembre, 1999
"Veron@" quotidiano - I FATTI
 
 
 

Una sentenza della sezione lavoro

Visita fiscale: valido l'indirizzo Inps (Cassazione 5147/99)

In collaborazione con il CoDiCi di Verona

L'indirizzo valido ai fini della visita fiscale è quello che risulta  all'Inps, anche se diverso da quello in possesso al datore di lavoro.
La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione ha dato ragione ad una lavoratrice che durante il decorso della malattia si trovava a un indirizzo diverso da quello abituale, risultante al datore di lavoro, ma aveva provveduto a comunicare il nuovo indirizzo all'INPS.

La visita fiscale era stata effettuata all'indirizzo abituale, sulla base delle indicazioni del datore di lavoro, ed il medico fiscale non aveva trovato nessuno a casa; per tale motivo, il Pretore di Reggio Emilia, accogliendo le istanze dell'Istituto, le aveva negato l'indennità di malattia. Il Tribunale, invece, riformando la sentenza di primo grado, aveva accolto le ragioni della lavoratrice, ritenendo che le eventuali variazioni di domicilio durante la malattia devono essere indicate solo nella certificazione dell'Inps (al quale la donna aveva fornito le informazioni richieste), mentre non c'è obbligo di comunicare il diverso indirizzo anche al datore di lavoro, poiché questi può richiedere il controllo delle assenza per infermità "soltanto attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti".

La Suprema Corte condivide le argomentazioni del Tribunale e respinge il ricorso dell'Inps, ritenendo che la visita fiscale non potesse considerarsi effettuata in quanto avvenuta a un indirizzo diverso da quello indicato dal lavoratore; infatti, il lavoratore non ha l'obbligo di comunicare il proprio effettivo recapito anche al datore di lavoro, ma è piuttosto l'Istituto di previdenza che, nel caso in questione, non si è curato di disporre una nuova visita all'indirizzo indicato nella certificazione medica in suo possesso, considerando sufficiente l'esito negativo della prima verifica, anche se compiuta ad un indirizzo che risultava errato. Pertanto, sulla base del principio secondo il quale l'obbligo di comunicare il diverso recapito durante il periodo di malattia sussiste solo nei riguardi dell'Inps (e non anche del datore di lavoro), la lavoratrice ricorrente ha diritto alla corresponsione dell'indennità di malattia. (7 giugno 1999)

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE - SEZIONE LAVORO
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
INPS, Istituto Nazionale della Previdenza Sociale; contro T. A. R., (    )
avverso la sentenza del Tribunale di Reggio Emilia n. 611 in data 11 luglio 1995, dep. 13-7-95 RG 1388/92; (       )
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 611 in data 11 luglio 1995 il Tribunale di Reggio Emilia, in riforma della sentenza del Pretore di quella città del 28 agosto 1994, accoglieva la domanda di T. A. R., intesa ad ottenere la condanna dell'INPS a corrisponderle l'indennità di malattia, denegata sul presupposto del mancato reperimento al domicilio comunicato dal datore di lavoro ma differente rispetto a quello effettivo ancorché risultante dalla certificazione medica trasmessa dalla lavoratrice.  Il Collegio di merito richiamava la giurisprudenza di questa Corte nel senso che l'obbligo di comunicare il recapito durante il periodo di malattia, diverso dall'abituale residenza o dimora, sussiste solo nei riguardi dell'INPS, non anche del datore di lavoro.  Ha proposto ricorso per cassazione l'INPS con un unico motivo variamente articolato.
T. A. R. resiste con controricorso e deposita memoria a sostegno.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Va preliminarmente dichiarato inammissibile il controricorso, notificato il 30 agosto 1996 e tempestivamente depositato in cancelleria ai-sensi dell'art. 369 cpc.
Ed invero il ricorso principale è stato notificato il 23 novembre 1995 e pertanto il termine di gg. 20, decorrente ai sensi dell'art. 370 cpc dalla scadenza di quello stabilito ugualmente in gg. 20 per il deposito in cancelleria del ricorso principale, era longe et ultra decorso alla data di notifica del controricorso.
Con l'unico mezzo l'INPS denuncia la violazione dell'art. 5 D.L. 12 settembre 1983 n. 463 [1], in riferimento ai numeri 3 e 5 dell'art. 360 cpc.
Il motivo non è fondato.
Ed invero per il controllo dello stato di salute del lavoratore l'art. 5 della legge 20 maggio 1970 così testualmente dispone: "Sono vietati accertamenti da parte del datore di lavoro sulla idoneità e sulla infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente. Il controllo delle assenze per infermità può essere effettuato soltanto attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti i quali sono tenuti a compierlo quando il datore di lavoro lo richieda." Il controllo delle assenze per infermità è dunque compito degli istituti previdenziali e il datore di lavoro ha solo la facoltà di sollecitarlo.  Per lo svolgimento del controllo sulle assenze per infermità del lavoratore la legge prevede una serie di formalità e tra l'altro impone al lavoratore l'obbligo di farsi trovare in casa durante determinate fasce orarie.
La T. A. R., durante il periodo di assenza dal lavoro, si è trasferita in altro domicilio e, nella certificazione medica regolarmente inviata all'istituto previdenziale, ha indicato nell'apposito spazio l'indirizzo di effettiva reperibilità nel corso della malattia, mentre il medico incaricato della visita di controllo si è recato, nelle more di inoltro della certificazione a cura della parte, al recapito comunicato dal datore di lavoro. Giustamente pertanto il Tribunale ha ritenuto che la visita di controllo non potesse ritenersi effettuata in quanto avvenuta in un indirizzo diverso da quello indicato dal lavoratore.  E non ha rilievo di sorta la circostanza che la lavoratrice abbia comunicato il proprio indirizzo durante la malattia solo all'Istituto Previdenziale e non al datore di lavoro, atteso che questi può richiedere il controllo delle assenze per infermità "soltanto attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti"; di conseguenza, secondo la normativa in vigore, le eventuali variazioni di domicilio durante la malattia debbono essere indicate solo nella certificazione all'INPS.
Nello stesso senso si è pronunciata questa Corte con la sentenza n. 8612/1993 in data il 23 giugno 1992.
Questa Corte non ravvisa ragioni di sorta di sorte per modificare un orientamento del tutto coerente al testo normativo, in ordine al quale l'Istituto ricorrente non svolge critiche di sorta, limitandosi a non tenerne conto.
E' solo il caso di porre in evidenza, a fronte dell'argomentazione svolta dall'istituto nel senso che il lavoratore avrebbe l'onere di comunicare il proprio effettivo recapito anche al datore di lavoro al fine di prestare una doverosa collaborazione all'Ente previdenziale incaricato del controllo, che tale collaborazione va resa anzitutto dall'Istituto che invece, al ricevimento della certificazione medica, non si è curato di disporre una nuova visita all'indirizzo ivi indicato, considerando sufficiente l'esito negativo della prima verifica, pur se compiuta ad un indirizzo che risultava errato.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. Va disposta la distrazione, come da richiesta, in favore dell'avv. Franco Agostini dichiaratosi antistatario.
P.Q.M.
La Corte
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alle spese in favore del resistente, liquidate in lire 15.000 oltre agli onorari in lire 1.500.000, con distrazione in favore dell'avvocato Agostini, antistatario.
Roma 28 gennaio 1999
Depositata in Cancelleria 26 maggio 1999
 
 
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