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Pubblichiamo un intervento del C.S.A. (Coordinamento Sanità
e Assistenza fra i movimenti di base - Comitato per la difesa dei diritti
degli assistiti 10124 TORINO - via Artisti 36 - tel. 011-81244.69 — Fax
011-812.25.95) sul grave problema del pagamento delle rette per il mantenimento
di persone non autosufficienti con grave handicap.
Anche se la normativa in oggetto risale allo scorso anno il problema
rimane, purtroppo di grave attualita' per molte famiglie.
PARTE PRIMA
Sulla Gazzetta ufficiale n. 161 del 12 luglio 1999 è stato pubblicato
il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 7 maggio 1999 n. 221.
Alcuni hanno ritenuto che le norme del suddetto provvedimento e quelle
del decreto legislativo 109/1998 consentissero ai Comuni di approvare delibere
per imporre contributi economici ai congiunti degli assistiti (soggetti
con handicap e pazienti psichiatrici con limitata o nulla autonomia, malati
di Alzheimer, anziani cronici non autosufficienti, ecc.) che frequentano
centri diurni o sono ricoverati presso comunità alloggio o in istituti
o che richiedono altri interventi: servizi di aiuto personale, assistenza
domiciliare ecc.
Con molta tempestività ed accogliendo in parte le proposte del
CSA, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ufficio legislativo del
Ministro per la Solidarietà sociale, con la nota del 15 ottobre
1999, prot. DAS/625/UL - 607, ha precisato (cfr. allegato 1) quanto segue:
1. le disposizioni dei decreti 109/1998 e 221/1999 hanno esclusivamente
lo scopo di stabilire i criteri per la valutazione della condizione economica
delle persone che richiedono prestazioni sociali agevolate: inserimento
in centri diurni di soggetti con handicap e con limitata autonomia, accoglienza
presso comunità alloggio o istituti, frequenza asili nido e scuole
materne comunali, partecipazione a soggiorni di vacam:a, ecc.;
2. i due citati decreti non devono essere utilizzati dai Comuni
per pretendere contributi economici dai congiunti, compresi i parenti tenuti
agli alimenti, di coloro che richiedono prestazioni sociali agevolate;
3. è confermato il parere emesso dal Ministero dell’interno,
Direzione generale dei Servizi civili, Ufficio Studi e Affari legislativi
in data 8 giugno 1999, prot. 190 e 412 B.5 in base al quale le pubbliche
amministrazioni non possono imporre contribuzioni ai familiari degli utenti
dei servizi socio-assistenziali, inclusi quelli tenuti agli alimenti
ai sensi dell’art.433 del codice civile
1. Parenti tenuti agli alimenti
L’interpretazione data dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri
e dal Ministero dell’interno sulla questione dei parenti tenuti agli alimenti
è pienamente condivisibile e conferma la validità delle posizioni
e delle iniziative assunte dal CSA.
Infatti, in base alle leggi vigenti, la richiesta degli alimenti
è un atto che riguarda esclusivamente i parenti. Può quindi
essere esercitata solo dagli stessi familiari. Ad essi non può sostituirsi
nessun altro soggetto pubblico o privato, ad eccezione del tutore del congiunto
dichiarato interdetto.
Ad esempio il genitore (o il suo tutore) può chiedere gli alimenti
al figlio, ma i Comuni o gli altri organismi non possono intervenire in
merito, nemmeno quando provvedono al ricovero del genitore.
Fanno parte del C.S.A le seguenti Organizzazioni Associazione G.E.AP.H. Genitori e Amici dei Portatori di Handicap di Sangano (To);Associazione Genitori Fanciulli Handicappati ex USSL 34 di Orbassano (Io); Associazione Italiana Assistenza Spastici di Torino; Associazione Nazionale Famiglie Adottive e Aflidatarie; Associazione “La Scintilla” di Collegno-Orugjiasco (TO); Associazione “Odissea 31” di Chivasso; Associazione “Okre il ponte” di Lanzo Tormese; Associazione “Prader Willi”, sei di Torino; Associazione Promozione Sociale; A.S.V.A.D., Associazione Solidaridà Volontariato a Domnicilio; Associazione Spina Bifida; Associazione Tutori Vokrìtari; CO-GEHA,Colldtivo Genitori dei portatori di handicap, Sottimo Torinese; Comitato Integrazione Scolastica Handicappali; Coordinamento dei Comitati Spontanei di Quattiere~ Coordinamento Para-totraplegici; CUMTA, Comitato Utenti Mezzi Trasporto Accessibili; GRH, Genitori Ragazzi Handicappati di Venezia Dniuìto (To); Gruppo Inseri-mento Sociale Handicappati ex USSL 27; Unione per la Lotta Contro l’Emarginazione Sociale; Unione per la Tutela degli Insufficientt Mentali, “Vivere Insieme” di Rivoli.
Al riguardo, si ricorda che il primo comma dell’art.438 del codice civile
stabilisce quanto segue: «Gli alimenti possono essere chiesti SOLO
da chi versa in istato di bisogno e non è in grado di provvedere
al proprio mantenimento». -
In materia di alimenti, le Regioni non hanno mai avuto e non hanno
alcuna competenza legislativa o regolamentare.
* Ne deriva che sono illegittime le leggi regionali e le delibere di
Comuni, Province e ASL in cui è prevista la richiesta di contributi
ai parenti di assistiti maggiorenni.
Al riguardo, si fa presente che numerose sentenze della Corte di
Cassazione stabiliscono che è punibile a norma dell’art.610 del
codice penale chiunque costringa un familiare, con violenza o minaccia,
a sottoscrivere impegni economici non dovuti.
2. Aspetti carenti del decreto 221/1999
Le principali carenze del decreto 221/1’ ‘99 sono le seguenti:
a. Valutazione della situazione economica dell’assistito maggiorenne
Poiché l’accertamento delle situazione economica riguarda non
solo l’assistito, ma anche tutti componenti del nucleo anagrafico di appartenenza,
non è chiaro quale possa essere l’utilizzo del suddetto accertamento.
Ad esempio, si può presentare il seguente caso: un handicappato
intellettivo maggiorenne ha quale unico reddito la pensione di invalidità
di £. 395.060 per 13 mensilità, corrispondente a 428.000 al
mese.
Se vive con i genitori che hanno un reddito complessivo di £.2.000.000,
si riconosce che il soggetto con handicap ha un reddito reale di £.
428.000 mensili oppure il calcolo viene effettuato sommando i redditi dell’interessato
e quelli dei genitori e dividendo la somma ottenuta per tre? In questo
caso il dato risultante è di £. 809.333, quasi il doppio degli
introiti effettivi del soggetto con handicap. Inoltre, come si calcolano
i patrimoni posseduti dai genitori, ai fini dell’individuazione della condizione
economica del figlio con handicap?
Può essere valutata in modo diverso la condizione economica
del figlio con handicap se vive con i genitori, oppure se fa nucleo a se
stante essendo ricoverato in un istituto?
b. Assenza di norme in merito al minimo vitale
Purtroppo, tutti i Comuni (che sono ben 8.100) possono attualmente
stabilire autonomamente il minimo vitale per ciascun nucleo familiare preso
in considerazione; possono cioè definire l’importo del reddito riconosciuto
come assolutamente indispensabile per provvedere alle esigenze del nucleo
stesso. Da notare che, con delibera 1090 del 4 settembre 1998, l’Assemblea
dei Sindaci dei Comuni dell’ASL 9 - Ivrea (Torino) aveva stabilito che
per gli utenti dei centri diurni per handicappati intellettivi il minimo
vitale (comprendente tutte le spese: vitto, abbigliamento, affitto, luce,
gas e ecc.) era di £. 350 mila mensili!
C’è, dunque, la necessità di prevedere norme che evitino
gli abusi, stabilendo criteri idonei a livello nazionale.
e. Disparità di trattamento fra Comuni anche limitrofi
Ciascun Comune può stabilire autonomamente le norme riguardanti
i coefficienti di valutazione relativi ai beni mobili e immobili dell’utente.
Anche in questo caso occorre che siano stabiliti i criteri fondamentali
allo scopo di evitare disuguaglianze ingiustificate.
d. Disparità di valutazione nello stesso Comune dei redditi
e dei beni
I Comuni possono approvare norme diverse l’una dall’altra per i vari
servizi di loro competenza. Pertanto, le disposizioni relative alle contribuzioni
per il ricovero di handicappati intellettivi possono essere differenti
rispetto a quelle concernenti l’assistenza economica, l’aiuto domiciliare,
le rette di frequenza degli asili nido, la partecipazione a soggiorni di
vacanze, ecc..
(1) La prima parte delI’art.610 del codice penale dispone quanto segue: *"Chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni". La Suprema Corte di Cassazione ha precisato che "ai fini del delitto di violenza privata non è richiesta uno minaccia verbale o esplicita, essendo sufficiente un qualsiasi comportamento od atteggiamento, sia verso il soggetto passivo sia verso altri, idoneo a incutere timore e, a suscitare la preoccupazione di subire un danno ingiusto, onde ottenere, mediante tale intimidazione, che il soggetto passivo sia indotto a fare, tollerare od omettere qualcosa."
Da notare che finora sono quasi sempre state penalizzati i parenti di
persone malate o handicappate. Ad esempio mai sono stati richiesti contributi
economici ai parenti tenuti agli alimenti per la frequenza degli asili
nido da. parte di bambini di famiglie con scarsi o nulli redditi, né
i figli sono stati chiamati a contribuire per i soggiorni di vacanza dei
loro genitori con risorse insufficienti a rimborsare le spese sostenute
dai Comuni.
Si ritiene, pertanto, che debbano essere previsti idonei criteri da
applicare a tutte le situazioni, senza alcuna discriminazione.
e. Altre gravi disparità
Restano esclusi dall’ambito applicativo dei sopracitati decreti 109/1998
e 221/1999
«l’integrazione al minimo, la maggiorazione sociale delle pensioni,
l’assegno e la pensione sociale e ogni altra prestazione previdenziale,
nonché la pensione e l’assegno di invalidità civile e le
indennità di accompagnamento e assimilate».
Le pensioni integrate al minimo, quelle per gli invalidi, le pensioni
e gli assegni sociali non vengono erogati solamente a coloro che non hanno
le risorse occorrenti per vivere, ma anche ai cittadini possessori di beni
e redditi non indifferenti.
Le somme versate dallo Stato nel 1995 per prestazioni monetarie a carattere
continuativo sono state le seguenti:
• quasi 30 mila miliardi per l’integrazione delle pensioni al minimo;
• 3.482 miliardi per le pensioni e gli assegni sociali agli ultrasessantacinquenni;
• 1.724 miliardi per le pensioni ai ciechi e ai sordomuti;
• 14.481 miliardi per le pensioni agli invalidi civili, di cui 7.737
per le indennità di accompagnamento.
Per quanto riguarda le varie tipologie delle pensioni di cui abbiamo
indicato gli importi a carico dello Stato, esse dovrebbero avere attualmente
(ma non sempre hanno!) la finalità di assicurare l’occorrente per
vivere alle persone prive dei necessari mezzi economici. Non sempre hanno
la suddetta finalità in quanto gli importi sono ampiamente insufficienti
e non garantiscono nemmeno la sopravvivenza a coloro che non dispongono
di altri redditi e di beni.
Ad esempio, l’importo al l° gennaio 1999 delle pensioni per gli
invalidi e mutilati civili totali impossibilitati quindi per la gravità
delle loro condizioni psico-fisiche a svolgere qualsiasi attività
lavorativa proficua, era di £. 395.060 mensili per 13 mensilità.
Alla stessa data era di £. 504.400 l’ammontare della pensione sociale
erogata agli ultrasessantacinquenni senza altri redditi e beni. Al 1°
gennaio 1999 erano certamente insufficienti per vivere anche gli importi
delle pensioni minime INPS (L 709.500 per 13 mensilità) e dell’assegno
sociale (E.615.800 per 13 mensilità).
Di fronte a queste incivili situazioni si deve rilevare che mentre
lo Stato eroga contributi largamente insufficienti a coloro che non hanno
mezzi di sorta, è “generoso”, a volte in misura notevole, con coloro
che sono in grado di cavarsela da soli. Si vedano, al riguardo, le tabelle
1, 2 e 3 inserite nell’allegato 2.
(2) Il terzo comma dell’art.3 del decreto legislativo 109/1998 stabilisce
quanto segue: "Restano ferme le disposizioni vigenti che attribuiscono
alle amministrazioni dello Stato e alle Regioni la competenza a determinare
criteri per l’uniformità di trattamento da parte di enti erogatori
da essi vigilati o comunque finanziati". In sostanza le Regioni possono,
ma non sono obbligate a determinare i criteri uniformi, nemmeno per quanto
riguarda i Comuni che svolgono le attività assistenziali a livello
associativo. Anche in questo caso occorrerebbe definire l’obbligatorietà
dell’intervento regionale
(3) Dati tratti da “La spesa per l’assistenza. Documento di base n.3
della Commissione Onofri per l’analisi delle compatibilità macroeconomiche
della spesa sociale”, redatto da F. Bimbi, P.Bosi, F.Ferrera e C. Saraceno.
(4) Si osservi che, da informazioni fornite dall’INPS, non vi sono
pensionati, invalidi compresi, che abbiano denunciato il possesso di beni
mobili quali BOT,CCT,BTP, fondi comuni e altri investimenti. Ricordiamo
anche la denuncia del Segretario generale della UIL, Pietro Larizza (cfr.
La Stampa del 10 marzo 1999) secondo cui in testa alle pensioni d’oro
ci sono i consiglieri regionali: “Quasi tutti maturano il diritto alla
pensione con soli 5 anni di mandato al compimento del sessantesimo anno
di età: si va dal 17,5% dello stipendio in Friuli, fino al 60% in
Sardegna. E per i lavoratori dipendenti, 5 anni di contributi valgono appena
il 10% della futura pensione. Il massimo della pensione i consiglieri regionali
l’ottengono dopo tre o quattro legislature con un assegno che va dal 50%
all’80% dello stipendio: il massimo è l’80% dopo 20 anni in Sicilia,
ma in Veneto si ha il 70% con 12 anni e in Sardegna il 75% con 15. Altra
grande disparità, quella che permette a consiglieri, deputati, Senatori,
commissari e parlamentari europei di trasferire le pensioni agli eredi
per una quota pari al 60%; mentre per gli altri lavoratori - dice Larizza
- la quota di reversibilità si riduce all’aumentare del reddito
del coniuge superstite, per parlamentari e consiglieri il 60% resta sempre
fermo». Inoltre la pensione degli eletti è cumulabile con
altri redditi e pensioni, «per cui si può arrivare all’assurdo,
per esempio, di un medico libero professionista che è anche professore
universitario e poi deputato e parlamentare europeo che cumulo 4 pensioni"
3. Proposte di adeguamento del decreto 221/1999
Si chiede che il decreto 221/1999 sia modificato assumendo come riferimento
gli stessi principi stabiliti attualmente o da introdurre per l’integrazione
al minimo delle pensioni, la maggiorazione sociale delle pensioni, l’assegno
e la pensione sociale.
Sarebbe, infatti, estremamente antietica una situazione in base alla
quale le suddette prestazioni monetarie a carattere permanente (che sono
di natura assistenziale) continuassero ad essere fornite, come è
stato in precedenza evidenziato, anche a persone aventi redditi sufficienti
per vivere e in possesso di beni anche consistenti, nel caso in cui criteri
differenti fossero assunti per le prestazioni assistenziali erogate dai
Comuni.
Ciò premesso, a nostro avviso il decreto 221/1999 dovrebbe essere
modificato sulla base delle seguenti indicazioni:
a. gli utenti dei servizi assistenziali devono contribuire al pagamento
delle prestazioni ricevute non solo in base, come avviene oggi, ai redditi
personali, ma anche in relazione ai patrimoni immobiliari (alloggi, negozi,
ecc.) e mobiliari (azioni, titoli di Stato, ecc.) posseduti;
b. per le prestazioni domiciliari (aiuti economici, pulizia dell’alloggio,
pasti a domicilio, ecc.) si dovrebbe tener conto della situazione economica
dell’intero nucleo familiare convivente; per gli altri interventi (frequenza
centri diurni, accoglienza presso comunità alloggio, ecc.) occorrerebbe
prendere come riferimento esclusivamente le condizioni finanziarie dell’utente;
c. dovrebbe essere soppressa la norma (art.2, comma 5) che consente
ai Comuni di «assumere come unità di riferimento una composizione
del nucleo familiare» diversa da quella prevista dalle leggi vigenti
per la famiglia anagrafica;
d. nel campo dell’assistenza (prestazioni di aiuto economico e/o domiciliare,
inserimento presso centri diurni di handicappati maggiorenni con limitata
o nulla autonomia, accoglienza presso comunità alloggio, ecc.),
i decreti 109/1998 e 221/1999 dovrebbero essere applicati esclusivamente
sulla base delle norme approvate dai Comuni per le prestazioni non assistenziali
(frequenza asili nido , soggiorni di vacanza, turismo urbano e extraurbano,
ecc.);
e. occorrerebbe che venissero definiti i criteri occorrenti per una
corretta individuazione del minimo vitale e per evitare assurde disparità
di trattamento fra Comuni anche limitrofi e soprattutto fra i Comuni appartenenti
allo stesso Consorzio.
PARTE SECONDA
A. Obblighi del Servizio sanitario nazionale
Si ribadisce, ancora una volta, che, in base alle leggi vigenti,
il Servizio sanitario nazionale è tenuto a garantire senza limiti
di durata le cure sanitarie, comprese - occorrendo - quelle praticate presso
ospedali, case di cura private convenzionate e RSA sanitarie (le RSA assistenziali
ricoverano abusivamente gli anziani malati) siano i pazienti colpiti da
patologie acute o da malattie inguaribili e da non autosufficienza.
Per evitare le dimissioni, si veda il volume di F. Santanera e M.G.
Breda, Come difendere i diritti degli anziani malati, I JTET Libreria,
Torino, 1999.
Purtroppo la stragrande maggioranza delle ASL trasferisce - fatto illegale
e spesso disumano - dalla competenza del Servizio sanitario nazionale al
settore dell’assistenza i pazienti psichiatrici con limitata o nulla autonomia,
i malati di Alzheimer e gli altri soggetti affetti da demenza senile, nonché
gli anziani colpiti da patologie invalidanti e da non autosufficienza.
Le conseguenze più rilevanti del suddetto trasferimento sono
le seguenti:
a) passaggio dalla gratuità al pagamento da parte dei degenti
di rette ammontanti anche a 100-140 mila lire al giorno;
b) perdita del diritto esigibile alle cure sanitarie, ricoveri compresi,
e inclusione nelle liste d’attesa, anche di 2/3 anni per il ricovero in
case di riposo e altre strutture assistenziali (residenze protette, ecc.);
c) inserimento di soggetti malati in servizi e strutture assistenziali
aventi, salvo rarissime eccezioni, una organizzazione del personale (compresa
la direzione), spazi fisici della degenza e condizioni di sicurezza, di
gran lunga meno validi per gli utenti rispetto a quanto stabilito dalle
norme vigenti in materia di sanità.
Così come hanno fatto anche altre Regioni, la Regione Piemonte
ha approvato una delibera, assolutamente illegittima, in base alla quale,
alla scadenza dei 60 giorni di degenza riduce del 40% l’importo della retta
versata alle case di cura private convenzionate.
Ne consegue che le case di cura private dimettono il malato lungodegente,
nonostante questi
abbia ancora la necessità di cure sanitarie.
Anche se il paziente ha diritto di essere trasferito, a cura e spese
del Servizio sanitario nazionale, in un ospedale o in un’altra casa di
cura, la procedura è disumana e considera il malato (spesso si tratta
di un anziano cronico non autosufficiente) alla stregua di un pacco.
E’ assolutamente falsa l’informazione secondo cui le leggi stabiliscono
un periodo massimo di degenza in ospedale o presso case di cura private
convenzionate delle persone malate.
B. Obblighi delle persone malate
Le persone malate non devono versare nessun contributo per la loro
degenza presso ospedali, case di cura private convenzionate con il Servizio
sanitario nazionale e RSA sanitarie.
Tuttavia, nonostante l’impegno del Parlamento di garantire le cure
sanitarie gratuitamente e senza limiti di durata agli anziani non autosufficienti
assunto in occasione dell’approvazione della legge 692/1955 e dei contributi
previdenziali AGGIUNTIVI stabiliti dalla legge suddetta e mai abrogati,
il CSA accetta che i malati cronici non autosufficienti versino in base
ai loro redditi pensionistici una somma non superiore a 50 mila lire al
giorno per la loro degenza presso le RSA sanitarie, a condizione che vengano
fornite tutte le prestazioni necessarie, comprese quelle relative all’indennità
di accompagnamento e siano considerate le esigenze personali dei malati
e le loro eventuali obbligazioni (mantenimento congiunti, rimborso, prestiti,
ecc.).
C. Obblighi dei Comuni in materia di assistenza
In base alle leggi vigenti i Comuni singoli o associati, sono tenuti
a fornire l’assistenza, ricoveri compresi, alle persone non in grado di
provvedere autonomamente alle proprie esigenze di vita (ad esempio minori
privi di adeguato sostegno familiare, handicappati adulti con limitata
o nulla autonomia, famiglie con difficoltà socio-economiche ecc.).
Costituisce reato la mancata assistenza da parte dei Comuni delle
persone in situazione di bisogno.
Come abbiamo già visto, se si tratta di persone malate, comprese
quelle con patologie inguaribili e non autosufficienti, la competenza è
della sanità e non dell’assistenza.
D. Obblighi degli assistiti
Come è noto, in base alle norme vigenti, tutte le persone maggiorenni
sono giustamente obbligate a contribuire con i propri redditi e beni (e
non con quelli dei congiunti) alle spese sostenute dai Comuni singoli
o associati per la loro assistenza: frequenza di centri diurni da parte
di soggetti con handicap intellettivo grave e gravissimo, accoglienza presso
famiglie e comunità alloggio, ricovero in istituto, ecc.
Naturalmente, l’interessato deve poter disporre di una quota dei propri
redditi sufficiente a soddisfare i suoi obblighi familiari e le proprie
spese personali. Se l’assistenza è fornita a minorenni, i genitori
devono contribuire in base alle loro risorse.
Alcune funzioni assistenziali (gestanti e madri in difficoltà,
minori figli di ignoti, ciechi e sordi poveri, ecc.) sono ancora attribuite
dalle vigenti disposizioni alle Province.
E. Obblighi nei confronti delle strutture private
Se il malato o un’altra persona (parente o non parente) si rivolge
direttamente struttura privata e sottoscrive un impegno, stipula un vero
e proprio contratto che deve essere rispettato da parte di coloro che l’hanno
firmato.
Per evitare pagamenti anche onerosi e per poter difendere i diritti della persona da curare o di assistere, è necessario rivolgersi alle ASL per i soggetti necessitanti di cure sanitarie e ai Comuni singoli e consorziati se c’è l’esigenza di prestazioni di assistenza sociale e pretendere che vengano fornite le prestazioni previste dalle leggi vigenti.
F. Disdetta degli impegni sottoscritti con enti pubblici
Se le ASL e i Comuni pretendono dei parenti la sottoscrizione di
impegni di pagamento quale condizione insuperabile per il ricovero, è
consigliabile che i parenti stessi firmino l’impegno (altrimenti l’assistenza
non viene fornita) e poi, appena ottenuta la prestazione, inviino una lettera
raccomandata con ricevuta di ritorno per disdire l’impegno stesso.
La disdetta nei confronti degli enti pubblici (Comuni, ASL, Province,
ecc.) è pienamente valida sul piano giuridico come risulta, ad esempio,
dalla sentenza del Tribunale di Torino, Prima Sezione Civile, n.3241 del
3 aprile 1998. Invece le disdette riguardanti impegni sottoscritti con
enti privati, salvo casi particolari, provocano l’interruzione delle prestazioni
assistenziali.
Altri problemi aperti
• Occorrerebbe rivedere con la massima urgenza le norme relative all’indennità
di accompagnamento:
- tenendo conto che l’importo dovrebbe essere collegato al livello
di dipendenza del soggetto malato o handicappato. Al riguardo si segnala
che, ad esempio, l’importo dell’indennità di accompagnamento dei
ciechi che svolgono attività lavorativa è superiore alla
somma corrisposta agli handicappati intellettivi totalmente non autosufficienti;
- valutando le connessioni con il servizio di aiuto personale previsto
dall’art.9 della legge
104/1 992.
Sarebbe necessario prendere in considerazione l’importanza delle prestazioni
fornite al loro domicilio dai congiunti di soggetti non autosufficienti
a causa di malattie o di handicap. Al riguardo dovrebbe essere regolamentato
il volontario infra-familiare di cui si uniscono due bozze di delibera
(allegati 3 e 4).
A nostro avviso, trattandosi degli importi versati per compensare le maggiori spese sostenute dalle persone con handicap rispetto agli altri cittadini, le indennità di accompagnamento, frequenza e comunicazione dovrebbero essere corrisposte dallo Stato indipendentemente dai beni e dai redditi posseduti dagli interessati.
15 OTT. 1999
Riproduzione della circolare della:
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
Ufficio Legislativo del Ministro della Solidarietà Sociale
Prot.. DAS/625/UL/-607
All’ANCI Nazionale
ROMA
Oggetto: Applicazione del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 1.09, in relazione all'obbIigazione agli alimenti di cui all’articolo 433 del codice civile civile.
In riferimento alla nota di codesta Associazione n. 740/PSAILB/rs dell’8 ottobre 1999, con la quale si chiede di -conoscere l’avviso del Dipartimento per gli affari sociali in ordine a questioni connesse alla disciplina del’ISEE e. a quella prevista dal codice civile, in materia di obbligazioni alimentari (articoli 433 e seguenti c.c4, si fa presente quanto segue.
1. La disciplina relativa ai criteri unificati di valutazione delle
condizioni economiche di coloro che richiedono prestazioni sociali agevolate
(decreto legislativo 109.del 1998 e successivi decreti applicativi) non
interferisce in alcun. modo con la disciplina relativa all’obbligazione
patrimoniale agli. alimenti, prevista dagli articoli 433 e seguenti del
codice civile. Infatti, il nucleo familiare del richiedente viene in considerazione
unicamente per il calcolo dell’ISEE del ‘richiedente medesimo, e. non per
altri fini, e men che mai per l’individuazione dei soggetti obbligati alla
.prestazione degli alimenti. Per inciso, si osserva che 11 nucleo familiare
rilevante per l’ISEE è composto tipicamente dal richiedente la prestazione
agevolata, dalla sua famiglia anagrafica e dai soggetti a carico a finì
IRPEF. mentre l’articolo 433 del codice civile considera altre relazioni
che possono o meno coincidere con. la famiglia anagrafica. In ogni caso
i due piani non possono essere confusi; così,. per individuare il
soggetto obbligato alla prestazione degli alimenti, dovrà sempre
farsi riferimento all’articolo 433 del codice civile, indipendentemente
dal fatto che il medesimo soggetto sia presente o meno nel nucleo familiare
del richiedente. Del contrario non c’è traccia. (e non poteva esserci,
vista la finalità dell'UISEE e i principi di delega) ~ nel decreto
legislativo n°. 109 del 1998, né, ovviamente, .nei decreti attuativi.
I testi normativi richiamati non offrono alcun margine per mia diversa
interpretazione. In tale contesto, si condivido l’avviso del Ministero
dell'Interno, espresso nella nota n. 190 e
412B.S dell’8.6.99, circa il fatto che. l’adempimento dell’obbligazione
patrimoniale agli alimenti di cui all’articolo 433 del codice civile debba
essere richiesto dal soggetto interessato e non dalle pubbliche amministrazioni.
2. Ai sensi dell’articolo 3, comma 2, del decreto legislativo n~1°9
del 199% è possibile, da parte dell’ente erogatore, individuare
un nucleo familiare diverso da quello tipicizzato dall’articolo 2 del decreto
medesimo (come successivamente precisato dall’articolo 2 del DPCM •7 maggio
1999, n.- 221). Dette disposizioni stabiliscono solo che ciò possa
avvenire “per particolari prestazioni”, richiedendosi, pertanto, l’adeguata
motivazione della diversa jdentificazione del nucleo-tipo, da assumere
invece a riferimento per la generalità delle altre prestazioni;
per le suddette particolari prestazioni pertanto possibile che sia assunto
a riferimento un nucleo composto da una sola persona. Del resto, esiste
già nell’ordinamento (decreto legislativo 24 aprile 1998, n. 124,
sulla partecipazione degli utenti al costo delle prestazioni sanitarie)
‘in caso che va in tal senso (anziano convivente, di età superiore
ai 65 anni), quantunque corretto dalla necessaria presenza nel nucleo familiare
del coniuge non legalmente ed effettivamente separato.
3. Si ritiene, infine corretta (e necessaria) l’interpretazione secondo
la quale il diretto beneficiario di prestazioni assistenziali costituisce
di norma il soggetto richiedente la prestazione .agevolata. in tal senso.
nel modello di dichiarazione sostitutiva. adottato con DM 29 luglio 1999,
è espressamente previsto il caso della dichiarazione (e quindi della
domanda di prestazione sociale agevolata) effettuata dal tutore per conto
dell'incapace. L’identificazione di un soggetto quale richiedente la prestazione
sociale agevolata deve rispondere ad obiettivi criteri di ragionevolezza,
e non può essere effettuata al fine di aggirare la disciplina dell’ISEE.
Pertanto, ad esempio. mentre per servizi e prestazioni rivolti ai minori.
laddove la prestazione sia collegata all’adempirnento di una obbligazione
di tipo familiare, è ragionevole identificare in via esclusiva il
richiedente nel soggetto esercitante la potestà genitoriale, per
altre prestazioni ciò non appare possibile, soprattutto quando il
beneficiario de]. servizio o della prestazione (l’assistito) è persona
maggiorenne, quantunque incapace. Ciò non vuol dire escludere necessariamente
dal novero dei soggetti richiedenti anche altri soggetti componenti dei
nucleo familiare identificato ai fini ISEE; vuoI dire, però, che
l’assistito deve essere considerato sempre nel novero dei richiedenti lasciando
così a lui. o al suo tutore, la possibilità di richiedere
direttamente la prestazione. risultando pertanto direttamente obbligato
verso la pubblica amministrazione nel caso in cui sussista l’obbligo di
partecipazione al costo del servizio.
4. E' utile ricordare che il sistema dell’ISEE non sopprime gli attuali spazi di autonomia sulle scelte politico-amministrative connesse all’estensione dell’intervento pubblico in materia di assistenza; I’JSEE obbliga unicamente a seguire un metodo più equo per valutare l’effettiva situazione economica delle persone da ammettere al godimento di prestazioni sociali agevo!ate, quando cioè un’agevolazione sia prevista in relazione all’erogazione di un servizio, dotando il sistema di valutazione della necessaria forza giuridica dal punto di vista dei controlli su redditi e patrimoni. Risultai perciò, evidente che l’introduzione dell’ISEE non comporta alcuna automatica diminuzione dei livelli generali di assistenza o il disimpegno finanziario degli enti erogatori. In realtà, la responsabilità di restringere o ampliare lo spazio dell’impegno finanziario pubblico sui servizi sociali è in capo agli enti erogatori, e ciò e indipendente dall’ISEE. ed attiene invece alla individuazione delle soglie di accesso. Si tratta, per l’appunto, di una scelta politico-amministrativa, a fronte della quale il sistema di valutazione delle condizioni economiche dell’utenza può essere più o meno efficace (ed è auspicabile che lo sia, per evitare ingiustizie nel trattamento. degli utenti), ma ha un effetto «neutro”, può cioè essere sempre lo stesso ed essere utilizzato per politiche di maggiore o minore favore verso la generalità degli utenti. In altri termini non è Il sistema di valutazione ad essere più o meno restrittivo, quanto la scelta politica e di bilancio che è alla base della sua utilizzazione, e che si realizza principalmente, come si è detto, attraverso l’individuazione delle soglie di accesso alle prestazioni agevolate.
IL CAPO DELL’UFFICIO LEGISLATIVO
Allegato 2
Tabella i - Trattamento minimo pensioni INPS per il 1999. due casi limite.
Pensionato di Proprietario Altri patrimoni Importo Pensione annua Integrazione
al Importo annuo
vecchiaia della casa in immobiliari reddito conseguita in minimo
annua disponibilità
cui abita posseduti familiare base ai
versata economiche
Annuo contributi daWINPS nel complessive
versati allINPS 1999
Signor A No Nessuno Zero L 2.400.000
L. 6.824.150 L 9.224.150
Signor B Appartamento Alcuni alloggi L 35.224.150
del valore di L. per un importo oltre
ai beni
500 milioni di i miliardo 26 milioni L 2.400.000 L 6.824.150
immobiliari del
valore di 1,5 miliardi
Ai fini dell’integrazione al minimo:
1. per le pensioni con decorrenza anteriore al 1994, si tiene conto
soltanto dei redditi del pensionato. L’integrazione è intera se
il reddito è inferiore (1999) a L. 9.224.150; è ridotta se
il reddito è compreso fra L. 9.224.151 e 18.448.299 non spetta nessuna
integrazione se il reddito è superiore a L. 18.448.300;
2. per le pensioni con decorrenza nell’anno 1994, si tiene conto sia
dei redditi del titolare, sia dei redditi cumulati con quelli del coniuge.
Essi devono essere inferiori a cinque volte l’importo annuo della pensione
minima. Pertanto l’integrazione è intera. se il reddito cumu!ato
per il 1999 è inferiore a L. 36.896.600; è ridotta se il
reddito è compreso fra L. 36.896.601 e L. 46.120.749 non spetta
alcuna integrazione se il reddito è superiore a L. 46.120.750;
3. per le pensioni con decorrenza dal 1995 in po4 il limite di reddito
cumulato con il coniuge è pari a quattro volte la pensione minima
INPS. Pertanto l’integrazione è intera se il reddito è inferiore
a L. 27.672.450; è ridotta se il reddito è compreso fra L.
27.67.~.451 e L. 36.896.599 non spetta alcuna integrazione se il reddito
è superiore a L. 36.896.600.
Dal calcolo dei redditi sono esclusi:
- i redditi esenti da IRPEF (pensioni di guerra, rendite INAIL, pensioni
degli invalidi civili ecc.);
- i trattamenti di fine rapporto e le relative anticipazioni;
- il reddito della casa di proprietà in cui si abita;
- gli arretrati sottoposti a tassazione separata;
- l'importo della pensione da integrare al minimo ha diritto al minimo
può avere anche una maggiorazione se non ha redditi oltre alla pensione
e se il coniuge ha un
reddito non superiore all’importo annuo dell’assegno sociale JNPS.
La maggiorazione è di L. 30 mila al mese per 13
mesi per ipensionati la cui età è compresa fra i 60 e
i 65 anni; di L. 80 mila per coloro che hanno più di 65 anni.
La recente legge di riforma delle pensioni esclude che si applichi
ancora il beneficio della integrazione al trattamento
minimo nel caso di pensione contributiva. Chi ha iniziato a lavorare
per La prima volta dopo il 10 gennaio 1996 non
può più avere la pensione al minimo: la rendita è
rapportata ai contributi versata senza alcuna integrazione.
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