LE OPINIONI

LE OPINIONI DI OGGI

Veron@ quotidiano - edizione del  20 novembre 2001

Grande spettacolo: Arrivano gli articolo 18

Sedicenti imprenditori senza fantasia



di Flavio Filini


Da qualche tempo si parla dell'abolizione dell'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori (Legge 300 del 1970), le motivazioni sono varie, ma in generale il coro governativo parla della possibilita' di licenziare (... finalmente).
Se cosi' fosse non ci sarebbero stati licenziamenti fino a ieri. Ma soprattutto si assiste alla propaganda allo stato puro: piu' facilita' di licenziamento = piu' assunzioni.

I dati ormai parlano chiaro, da almeno un decennio le tutele del lavoro dipendente sono diminuite costantemente, la “flessibilita'” dei lavoratori e' aumentata, ma la disoccupazione non cala nonostante cresca l'economia (lenta, ma cresce, dicono).

La cosa peggiore pero' e' che sembra nessuno legga le norme di cui parla, per rimediare proviamo a trascrivere qualche riga:

Art. 18 Legge 300/1970 - reintegazione nel posto di lavoro

“[...] il giudice con la sentenza con cui dichiara inefficace il licenziamento [... ] o annulla il licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo ordina al datore di lavoro [...] di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro [...]”

Alternativamente il lavoratore puo' chiedere una indennità pari a 15 mensilita'.


Questo governo e' riuscito a realizzare il sogno dei datori di lavoro di poter licenziare senza giusta causa o giustificato motivo accollandosi al piu' il pagamento di 15 mensilita'.

Come si dimenticano sempre di dire i detrattori della norma, la possibilita' di licenziare per giusta causa o giustificato motivo e' sempre esistita, per i piu' digiuni di normativa vediamo cosa significa.


Art. 3 Legge 604 del 1966

“Il licenziamento per giustificato motivo con preavviso e' determinato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro (es.: non lavora, divulga segreti aziendali, tradisce la fiducia, ruba ecc) ovvero da ragioni inerenti all'attivita' produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”.

La seconda parte prende in considerazione le necessità organizzative e di gestione, le modifiche nelle necessita' dell'azienda, l'inserimento di nuove professioni ecc. Ricordo che stiamo parlando di licenziamenti individuali e non di grosse ristrutturazioni che interessano grandi aziende e numerosi lavoratori, disciplinate da norme e accordi particolari.


Per completezza cito anche l'art. 2119 del codice civile (del 1942) Recesso per giusta causa:

“Ciascuno dei contraenti puo' recedere dal contratto prima della scadenza del termine se il contratto e' a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto e' a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria del rapporto. [...]”. Il caso tipico e' dato da comportamenti che mettono in dubbio la fiducia necessaria (es. gravi comportamenti del lavoratore o del datore di lavoro).


Quello che evidentemente infastidisce i datori di lavoro - imprenditori e non - e' la necessita' di dimostrare la giusta causa o il giustificato motivo.

La comodita' di poter licenziare il solito piantagrane che pretende il rispetto della (costosa) normativa sulla sicurezza, o peggio, il pagamento puntuale del dovuto, per non parlare dei sindacalisti e via elencando.

Non credete che 15 mensilita' siano un investimento ben fatto?


Per i cantori dello sviluppo e dell'aumento dell'occupazionne ricordo che l'Italia e' fra i paesi Ocse che hanno una maggiore flessibilita', non solo, siamo al terzo posto nel numero di lavoratori autonomi e piccoli imprenditori: al primo posto la Grecia, al secondo la Turchia. Restiamo saldamente al primo posto se consideriamo i lavoratori autonomi e gli “imprenditori” senza dipendenti.

Un bel primato , non c'e' che dire, alla faccia di quei pezzenti di tedeschi, americani, francesi, svizzeri ...


Non guasta far notare che il concetto di imprenditore e' stato introdotto nel codice civile del 1942, in epoca fascista quindi, per sostituire il precedente concetto di mercante (capitalista-speculatore) che aveva assunto connotazioni negative. La nuova figura dell'imprenditore-produttore di ricchezza viene quindi sostenuta dal regime fascista che inserisce la disciplina dell'imprenditore all'interno del libro quinto del codice civile intitolato “del lavoro” per far capire che anche l'imprenditore e' un lavoratore come gli altri, anche se con maggiori responsabilita'.

Vi ricorda niente?

Secondo la teoria economica politica neoclassica - ispiratrice di questa parte del codice civile - l'imprenditore e' distinto dal capitalista puro. L'imprenditore prende a prestito il capitale dal capitalista e con questo retribuisce tutti gli altri fattori della produzione, trattenendo per se' il profitto.

Quanti “imprenditori” si possono rispecchiare nella definizione, e soprattutto sono innovatori e non semplici esecutori di procedure ormai consolidate, fra cui la ormai sempre piu' battuta strada di aumentare i guadagni semplicemente sfruttando di piu' il lavoro dei dipendenti e, potendo, delle piccole ditte fornitrici?


La tendenza e' verso una sempre piu' accentuata deresponsabilizzazione delle imprese, all'uso dei lavoratori usa e getta, alla messa in concorrenza dei lavoratori dei diversi paesi.

Sembrerebbe che il fine dell'economia, con tutte le sue sovrastrutture, la Borsa, le grandi imprese, i mercati internazionali, non sia un sistema per migliorare le condizioni di vita di tutti ma, come e' sempre stato, a servizio di pochi.

Mi sorge un dubbio: che Marx avesse qualche ragione?


 

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