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Veron@ quotidiano - edizione del 15 febbraio 2003


 


Lettera aperta a Saddam Hussein, da parte di un amico della nonviolenza

Prendere l'uscita di sicurezza, prima che sia troppo tardi

di Mao Valpiana
Direttore di "Azione nonviolenta"
 
Caro Saddam,
non dar retta al Premier italiano Berlusconi: noi pacifisti non siamo tuoi amici e tanto meno facciamo il tuo (tragico) gioco. Anzi, abbiamo sempre lottato contro la tua feroce dittatura, anche quando i paesi occidentali guardavano con benevolenza al  regime irakeno, perché contrapposto all'Iran di Komeini, e ti vendevano armi e assistenza militare. Abbiamo sempre condiviso le rivendicazioni di autonomia del popolo kurdo, che tu hai sterminato. Sosteniamo i partiti democratici  irakeni in esilio e condanniamo i metodi sanguinari con i quali tieni nel terrore il tuo popolo, continuamente umiliato e costretto a fingere di benvolerti.
La tua politica è quanto di più lontano c'è dai nostri ideali di pace e giustizia.
Se ci opponiamo alla guerra che Bush vuole muoverti non lo facciamo certo per difendere il tuo regime, ma solo per evitare al popolo che opprimi altra violenza che si aggiungerebbe a quella che già subisce; ed inoltre sappiamo che una nuova guerra ti renderebbe ancora più forte, come è già accaduto nel 1991.
Chi vuole la guerra lo fa  solo per interessi economici; ai signori del petrolio importa ben poco il destino del popolo irakeno. Il tuo regime doveva essere abbattuto anni fa con la forza della democrazia; bisognava fare un vero embargo delle armi e lasciar passare solo cibo e medicinali; invece per dieci anni è stato fatto il contrario.
Chi è armato fino ai denti non può imporre ad altri di disarmare. Per questo L'America, insieme alla Russia e alla Cina, non hanno alcuna autorevolezza ai nostri occhi.
La Russia, per essere credibile quando si oppone alla guerra in Iraq, dovrebbe avviare da subito un vero processo di pace in Cecenia e riconoscere di aver commesso un genocidio.
La Cina, per dare credibilità al suo veto alla guerra di Bush, dovrebbe iniziare a ritirarsi dal Tibet e chiedere scusa al mondo intero per l'infamia di quell'invasione.
Gli Stati Uniti, quando chiedono che l'Iraq abbandoni le armi di sterminio di massa, dovrebbero contemporaneamente rinunciare al proprio armamento atomico, chimico e batteriologico.
Sappiamo ben vedere la differenza fra una democrazia e un totalitarismo. E non abbiamo dubbi da quale parte schierarci. Per quanto imperfetta e calpestata, la democrazia in cui viviamo è un dono prezioso, mentre il tuo regime dittatoriale è una tragedia storica. Ma la guerra non ha aggettivi, non è né democratica, né giusta, né preventiva, né fascista, né comunista.
E' guerra e basta. Le tue bombe non sono diverse da quelle di Bush.
Noi sappiamo che la violenza non si spazza via con altra violenza. Sappiamo che non si può sconfiggere il terrorismo con altro terrorismo.
Noi siamo contro la guerra, fatta da chiunque, per qualsiasi motivo, con qualsiasi arma. La guerra è il più grande crimine contro l'umanità. La guerra è il peggiore dei mali che vuole combattere.
La nonviolenza è la vera alternativa alla guerra. Non l'utopia di un mondo senza conflitti, ma il realismo di una proposta per risolverli.
La strategia della nonviolenza è quella del disarmo unilaterale. La storia, anche recente, ha dimostrato che gesti concreti di disarmo unilaterale ottengono risultati decisivi.
Di fronte all'installazione nei paesi della Nato dei missili nucleari Cruise, la risposta di Gorbaciov fu il ritiro dei missili nucleari SS 20 dai paesi del Patto di Varsavia. Fu un gesto clamoroso, che diede l'avvio al processo di distensione e contribuì al declino (senza spargimento di sangue) di tanti regimi dittatoriali e al crollo del Muro di Berlino.
Noi pacifisti occidentali da anni chiediamo e lavoriamo per il disarmo dei nostri paesi, la riduzione delle spese  militari,  la riconversione dell'industria bellica, l'abolizione degli eserciti e la creazione di Corpi Civili di Pace.  Nel tuo paese non è nemmeno pensabile l'esistenza di un movimento pacifista indipendente. Il tuo regime impedisce qualsiasi manifestazione di idee che contrastano con il potere militare. Per questo riteniamo che il tuo allontanamento sia assolutamente necessario e doveroso, ma senza usare i tuoi stessi mezzi omicidi. Già 10 anni fa Alexander Langer, leader storico dei pacifisti europei, formulò una seria proposta che andava in questa direzione: "chiedere all'ONU di promuovere una sorta di "Fondazione S. Elena" (nome dell'isola in cui alla fine fu esiliato Napoleone, tra gli agi e gli onori, ma reso innocuo), per facilitare ai dittatori ed alle loro sanguinarie corti la possibilità di servirsi di un'uscita di sicurezza prima che ricorrano al bagno di sangue pur di tentare di salvarsi la pelle (Siad Barre, Ceausescu, Marcos, Fidel Castro, il re del Marocco, Saddam Hussein... potrebbero o potevano utilmente beneficiarne piuttosto che giocare il tutto per il tutto); la questione di amnistie e indulti per chi è abbastanza lontano ed abbastanza vigilato da non poter più fare danni, non dovrebbe essere insolubile".
Quante sofferenze sarebbero state risparmiate al popolo irakeno se l'Europa avesse fatto propria questa soluzione! Ma le democrazie europee erano sorde.
Ora, che la catastrofe sembra imminente, qualche voce si fa sentire anche dai governi europei, ma il rischio è che sia ormai troppo tardi. La mostruosa e potente macchina bellica, ben oliata, finanziata, addestrata, è pronta alla carneficina.  Noi faremo l'impossibile per fermarla, insieme con tante forze popolari, sociali, spirituali e religiose. Sabato 15 febbraio questa volontà di pace si farà sentire in tutte le capitali del mondo. Anche a Bagdad, ne siamo certi. Sarà un'unica voce: no alla guerra, no al terrorismo, no alla dittatura. Non illuderti, Saddam Hussein, il potere della violenza è fragile, la forza della nonviolenza è invincibile.
 
 
 
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