LETTERE DEI LETTORI
LE RUBRICHE DI OGGI
Veron@ quotidiano - edizione del 01 marzo 2003
 

Azioni nonviolente: con un "se" e con un "ma"

 
di Mao Valpiana
Direttore di Azione nonviolenta


Il termine "azione diretta nonviolenta" è entrato prepotentemente nel gergo dell'attuale movimento pacifista e nel dibattito politico di questi giorni.
Bene. Anzi, benissimo. Per tanti anni gli amici della nonviolenza hanno lavorato a questa prospettiva che "obbedisce" alla superiore legge morale del "mai più guerra" e al dettato Costituzionale "l'Italia ripudia la guerra".
Chiarisco subito che dal punto di vista nonviolento le azioni di blocco dei treni o di altri mezzi che trasportano armi o strumenti militari, sono legittime purchè realizzate con metodi rigorosamente nonviolenti (cioè escludendo in modo assoluto qualsiasi gesto di violenza e offese rivolte ad altre persone); la disobbedienza civile nonviolenta, che vìola la legge alla luce del sole e ne accetta serenamente le conseguenze, è una tecnica nonviolenta che ci è stata insegnata da Gandhi, il quale l'ha applicata su larga scala.
Bisogna però sapere bene di cosa si sta parlando.

L'azione diretta nonviolenta fa parte del patrimonio storico dei nonviolenti italiani (si veda il libro "Nonviolenza in cammino" - Storia del Movimento Nonviolento dal 1962 al 1992). Basti ricordare l'esemplare blocco del treno che  attuammo il 12 febbraio 1991 contro la guerra del Golfo, e il conseguente processo conclusosi con l'assoluzione.

Ma affinché un'azione diretta nonviolenta possa definirsi tale, ci devono essere un SE e un MA.

L'azione nonviolenta si può attuare SE si dispone di un gruppo di persone "persuase", che abbiano già sperimentato su di sè altre forme di lotta nonviolenta, che abbiano partecipato alla preparazione dell'azione, disposte ad accettare le conseguenze del loro gesto, assolutamente "obbedienti" alle regole che ci si è dati, legate da un rapporto di conoscenza e fiducia reciproca; ogni azione deve avere un responsabile, alle cui indicazioni gli altri partecipanti si adeguano; l'azione deve essere ben preparata, quasi nulla lasciato all'improvvisazione; il tutto si deve svolgere in un clima di serenità e tranquillità; se le forze di polizia intervengono anche duramente, non si reagisce, si resta in silenzio o si intona un canto; altri manifestanti devono essere pronti a sostituire coloro che vengono allontanati con la forza;

Questo se va tutto bene, MA se le cose non vanno per il verso giusto, se la situazione sfugge di mano, se c'è anche un minimo gesto violento da parte di un manifestante, una reazione scomposta, paura o panico ingestibile, l'azione deve venire immediatamente sospesa. Non ci si può permettere di far degenerare l'azione senza aver raggiunto il fine che ci si è posti.

Qual è il fine di un'azione diretta nonviolenta che blocca un treno o un mezzo militare? (nessuno è così ingenuo da pensare che il ritardo di qualche minuto di un treno, contribuisca a fermare la guerra).

Sono due gli obiettivi di questo tipo di azioni:
1) drammatizzare la realtà: dimostrare all'opinione pubblica che la guerra non è una cosa lontana, che avviene a migliaia di chilometri, e che in fondo non ci riguarda; far vedere che la guerra passa anche da casa nostra, sotto le nostre finestre imbandierate, nelle nostre strade. La guerra si
prepara anche qui, con il concorso di tanta gente (non solo i militari, dunque, ma i ferrovieri, gli autisti, i portuali, i vigili, i contribuenti, e così via... ciascuno di noi in qualche modo ha preparato questa guerra);
2) dare l'esempio che ognuno può fare qualcosa per opporsi alla preparazione bellica e per denunciare la connivenza della autorità e delle istituzioni; non tutti sono chiamati a fare i blocchi, ma tutti possono e devono trovare il loro modo per fare un gesto di dissociazione. Il movimento pacifista non ha bisogno di "eroi" o avventurieri, tanto meno di professionisti della disobbedienza; bisogna invece dimostrare che ogni singolo cittadino ha la possibilità concreta di non collaborare con la macchina militare e che l'illegalità non è di chi si oppone, ma di chi sta preparando il più grande crimine contro l'umanità.

Dunque sul piano pratico queste azioni possono sperare ben poco, ma molto possono fare sul piano simbolico. E' per questo che le azioni devono essere condotte in modo esemplare, limpido e sereno: perché devono attirare la simpatia dell'opinione pubblica verso i manifestanti. Se un'azione finisce con scontri tra polizia e manifestanti, con tensione, grida, insulti, spintoni, contusi, l'obiettivo è già vanificato. Se invece la scena finale è la polizia che, pur bruscamente, e magari manganellando, porta via i manifestanti che tuttavia rimangono sereni ed immobili, senza reagire, nemmeno a parole, il successo dell'azione è sicuro. Per questo è fondamentale agire alla presenza di testimoni, meglio ancora se giornalisti, e documentare i fatti.

Un'ultima considerazione finale. Reagire alla guerra quando questa sta per esplodere, è giusto e doveroso, ma bisogna anche avere coscienza dei propri limiti. Le moltitudini di persone che si stanno mobilitando contro questa guerra sono animate dalle migliori intenzioni, ma sono anche prive di strumenti efficaci. Per un semplice motivo. Che la guerra la si ferma solo impedendone la preparazione. La vera prevenzione alla guerra di domani sta nel disarmo di oggi.

Questa guerra è annunciata da almeno dieci anni. E per dieci anni è stata preparata nell'indifferenza generale. I bilanci sono stati votati, le armi sono state progettate, le fabbriche hanno lavorato, i militari sono stati pagati e addestrati. L'immensa macchina industriale e militare ha funzionato a dovere.  Bisognava fermarla prima  questa guerra. Bisognava impedire che il ciclo si sviluppasse.

Ma ora che  gran parte dell'opinione pubblica ha aderito alla causa della pace, è il momento per intraprendere la via giusta, che è quella del disarmo. Il disarmo unilaterale. Ogni popolo deve premere sul proprio governo per imporre la distruzione delle armi, l'abolizione dell'esercito, l'azzeramento dei bilanci bellici, per realizzare il proprio disarmo. La pace verrà solo con la diminuzione del potenziale di armi presenti nel mondo. Dobbiamo chiedere il disarmo dell'Iraq, ma anche dell'America, della Russia, della Francia, dell'Italia, della Corea, dell'Iran, della Germania, della Cina. Ogni popolo deve innanzitutto rinunciare alle proprie armi e popi sviluppare i metodi alternativi per la soluzione nonviolenta dei conflitti.
In questo modo, se non riusciremo a bloccare questa guerra, riusciremo almeno ad impedire la prossima.

 
 

Torna su"

Riproduzione consentita citando fonte e indirizzo Internet. Veron@ Reg. Trib. Verona n° 1292 - 13.11.97

www.infoverona.it