L'ANGOLO VERDE

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Veron@ quotidiano - edizione del 9 aprile 2003

CAVE ED ATTIVITA' ESTRATTIVE

LE RESPONSABILITA' DELLA REGIONE VENETO



da LEGAMBIENTE VERONA, ITALIA NOSTRA VERONA, WWF VERONA, WWF LESSINIA



Non è azzardato definire la situazione creatasi nel campo delle attività estrattive come di sostanziale illegalità. Una legge, la n. 44 del 7.9.82, mai entrata in vigore, un Piano regionale delle attività estrattive adottato nel 1986 e mai operante, un regime transitorio che si perpetua da 21 anni e che funzione da "piano".

In tale sospensione di legalità le attività sono continuate. E come!

I dati dell'Ufficio Cave della regione dicono che la produzione annua nel 1989 era di 12,845 milioni di mc, nel 1996 era di 13,377 milioni di mc., nel contempo il n. di cave diminuiva da 659 a 580. Nel 2001 era di 12,200 milioni di mc., e il numero di cave saliva a 584.

Di questi milioni di mc. del 2001, ben 8,132 milioni erano di sabbia e ghiaia, 2,226 milioni di materiale lapideo e pietrisco, 1,210 milioni di calcare per cemento e 624 mila di argilla per laterizi.

Dagli anni 90 si sono susseguite parecchie proposte di legge senza nessun esito. Il rischio è che, nonostante le richieste di varie parti sociali, non si arrivi a definire l'attività estrattiva all'interno di una logica programmatoria nemmeno nel prossimo futuro.

La gestione discrezionale, da parte della Regione Veneto, delle autorizzazioni in regime transitorio ha funzionato a vantaggio dei cavatori bloccando anche quei settori imprenditoriali che avrebbero avuto vantaggi da una regolamentazione.

Completamente assente nella maggior parte delle proposte di legge presentate in passato, un'analisi della forbice tra crescita dei consumi e non riproducibilità delle risorse, unita all'irreversibile degrado dell'ambiente.

Ma soprattutto mancano le integrazioni tra la politica del settore estrattivo e un processo di riconversione che dovrebbe investire il settore stesso e quelli collegati (costruzioni, trasporti....).

Sembra che rendere eterno il regime transitorio della LR 44/82 sia il modo più efficace per la Regione Veneto di non prendere consapevolezza dei danni apportati e della necessità di un controllo programmatorio, richiesto non solo dalle associazioni ambientaliste e dai i cittadini, ma anche da molti enti locali.

Nell'agosto del 1999 le associazioni ambientaliste del Veneto sottoscrivevano un documento che individuava i modi con cui da decenni si stava andando ad uno sperpero del territorio ("le trasformazioni avvenute nell'assetto territoriale nazionale e regionale negli ultimi decenni hanno compromesso equilibri consolidati nei secoli tra città e campagna e tra uomo e ambiente, modificati nel rapido volgere di pochi decenni sotto la spinta di una crescita economica e sociale che ha comportato l'uso di grandi quantità di risorse territoriali"), si sosteneva che "il territorio rurale è una risorsa primaria sia dal punto di vista ambientale che economico-alimentare" e che la cave, poste in zona di ricarica degli acquiferi, compromettevano gli approvigionamenti idropotabili di milioni di persone; denunciavano l'aggiramento del limite del 3% di territorio rurale interessato a cave in zona agricola.

Nelle zone montane, dove l'attività di cava si contrappone con le primarie vocazioni turistiche e/o agro-silvo-pastorali, il clima di deregulation, la mancanza di una politica di sviluppo e le moderne tecnologie hanno provocato un degrado ambientale ancora più evidente, che uniti agli abusi (vedi il ricorso al TAR Veneto per la Valsguerza accolto in prima istanza) danno un quadro allarmante che necessità di una immediata inversione di tendenza.

Ora si sta facendo strada anche in ambiti vasti di opinione pubblica della necessità di un Piano che abbia parametri ambientali alla sua base. Innanzitutto con l'individuazione di quali risposte occorre dare alla domanda, ponendo in relazione ai rischi le diverse scelte di localizzazione.

Capisaldi della nuova normativa dovranno essere:



Ma tutta una programmazione di settore sarà superflua se la Regione Veneto non sarà in grado di commisurare il fabbisogno dei materiali con il modello di sviluppo per la regione, con la vulnerabilità del territorio. E' l'indicazione di principio che deve portare alla limitazione programmata dei consumi, a partire da quelli indotti dalle pubbliche amministrazione (strade, viadotti,...) con modifiche sostanziali nei capitolati d'appalto, facendo seguire una politica di incentivazione di ristrutturazione di edifici abitativi a scapito di nuove costruzioni, i cui esiti sono disastrosi sul piano territoriale, ambientale, estrattivo, urbanistico, sociale urbano, idrogeologico.

Ad oggi, in verità, nulla si è mosso, e la Regione dovrebbe predisporre un piano cave entro il mese di giugno: ma come può esprimerlo senza conoscere la realtà del suo territorio?

Risultano, infatti, dalle analisi e dai dati che stiamo raccogliendo, incongruenze grossolane tra i numeri forniti dalla Regione, dalla Provincia di Verona e dai Comuni, a dimostrazione della totale assenza di un "vero" riferimento legislativo e che tutto è sempre stato lasciato al caso, agli interessi di pochi a scapito dell'ambiente, e nessuno si è mai curato di controllare se non in rarissimi casi. Secondo noi prima del piano cave regionale sono necessari tre interventi inderogabili:



Attuare la moratoria per bloccare immediatamente tutte le nuove autorizzazioni.



Ottemperare alle previsioni dell'art. 28 della Legge 44/82, che prevede l'obbligo di vigilanza dei Comuni d'intesa con la Provincia, per far redigere contemporaneamente un censimento delle cave attive, di quelle dismesse e/o abbandonate, e lo stato dei ripristini, obbligando la loro attuazione dove non effettuata, e risolvere l'annoso problema delle cave già esistenti antecedenti la legge sopra citata.



Promuovere l'elaborazione di una nuova normativa per l'attività estrattiva per la Regione Veneto.



Su questa proposta LEGAMBIENTE, ITALIA NOSTRA e WWF, chiedono, in via preventiva, a tutti i gruppi consiliari, un parere in merito e una assunzione di responsabilità nell'individuare e nel sostenere la necessità di legiferare con metodo e con coscienza su una attività che, altrimenti, può continuare a creare gravissimi danni all'ambiente e alla già precaria economia di molte zone montane e di pianura.

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